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«Va be', volevi parlare?».
Quello che accadde fu che cominciò a parlare. Non fece delle grandi avance. Semplicemente parlava. Si
accese una sigaretta, mi versò da bere, ne versò per sé. Tra parentesi, non bevve nemmeno: i produttori
di successo non bevono quasi mai. Poi cominciò a domandarmi tutto di me, della mia vita in Europa e
cosa ne pensassi del ritorno in America. E mi diceva di quanto fosse bizzarra per lui questa storia di
Cannes e di come lui fosse cresciuto al quinto piano di un palazzo senza ascensore nella Little Italy di
New York. Si guardò intorno: la stanza fantastica col parato damascato e i divani e le sedie di velluto e
disse: «Per intenderci, qui dove sono i topi?».
Mi veniva da ridere, ma mi stava affascinando, vera-mente affascinando, era come un comico
newyorchese che faceva, una dopo l'altra, le sue originali associazioni: parla-va di come Los Angeles
fosse il "Tempio dell'Apparenza" e di come si sentisse un selvaggio, nel suo completo da 500 dollari,
mentre sgattaiolava fuori per andarsi a comprare dei panini, dopo aver lasciato i fantastici ristoranti dove i
dirigenti della Teatrali Uniti mangiavano, a pranzo, porzio-ni troppo piccole.
«Cioè, un piattino di funghi marinati e un pezzo di pesce crudo al Saint Germaine. E questo sarebbe un
pran-zo?».
Pensavo che sarei morta dalle risate, assolutamente morta. Voglio dire che nell'ascoltarlo mi divertivo da
pazza.
«Tu puoi fare tutto, non è così?», mi disse. «Ti avevo detto che quella robaccia là fuori, sul buffet, erano
calamari sotto inchiostro e tu te li sei mangiati. Semplicemente te li sei mangiati. Ho visto che ti
presentavano a un principe, o qualcosa del genere, su quello yacht, e tu semplicemente sorridevi. Che
razza di tipo sei?», domandò. «E quel Blair Sackwell, tutta la mia vita ho visto le sue pubblicità sulle
riviste, e tu semplicemente lo abbracci e lo baci, come si farebbe con un amico. Che razza di vita fai?».
Quando cominciai a raccontargli un po' di cose, cioè a rispondere alle sue domande, spiegando come
avevo sempre invidiato gli studenti che vedevo in Europa e in America, e come avrei voluto anch'io
sentirmi parte di qualcosa, lui ascoltava veramente. Sul serio. I suoi occhi luccicavano e mi faceva delle
piccole osservazioni che mi mostravano quanto lui recepisse quello che io realmente dicevo.
Ma intanto mi stavo facendo anche un'idea abbastanza precisa di chi fosse Marty. Lui non è per niente
come la maggior parte della gente di Los Angeles. Non crede che la televisione sia terribile. Vive
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passando da un livello all'altro della mediocrità e quello è tutto il suo mondo. Difende la televisione
argomentando che è fatta dalla gente, è per la gente ed è della gente, e che così era Charles Dickens. Ma
non ha mai letto una pagina di Charles Dickens. Il massimo per Marty è quello che lui chiama
"scandaloso". Lo "scan-daloso" comprende tutto: soldi, talento, arte, popolarità. Marty non ha
semplicemente venduto la sua anima per lo "scandaloso"; "scandaloso" è la sua religione e lui è il santo
dello "scandaloso".
Tuttavia quello che dà a Marty la sua forza è la disperazione di chi ha vissuto nelle strade newyorkesi e
uno stile un po' gangsteristico. Quando non è rilassato parla quasi esclusivamente per minacce, ultimatum
e affermazio-ni perentorie.
Del tipo: «E io gli ho detto: "Sentite, figli di puttana, o mi date quello spazio delle otto o me ne vado" e
dieci minuti più tardi, il telefono squilla e loro dicono: "Marty, te lo diamo", e io dico: "Perfetto"». È
sempre così.
Ma c'è una certa innocenza in questo modo di fare. Voglio dire che ha il fascino della crudezza perché
Marty in queste cose è così sincero. E Marty è irresistibile, quand'è così.
Tuttavia uno agisce in quel modo quando ha veramente paura di non essere nessuno e anche questo è
Marty, in fondo.
Lui non dimenticherà mai da dove viene, dice, e non è come essere poveri sulla costa dell'Ovest, dove le
cameriere del Sunset Boulevard parlano un perfetto inglese, dove si attraversano i quartieri puliti della
media borghesia, a San Francisco, e si dice che quello è un ghetto. Il povero a New York è veramente
povero.
Quello che sto cercando di dirti, che voglio che tu capisca è che questa conversazione fu l'inizio di una
grande relazione amorosa, che parlai per due ore con quest'uomo prima d'andarci a letto e che il letto
non era la sola cosa che lui volesse. A dirti la verità mi ero odiata, perché andare a letto era più o meno
la sola cosa che mi frullasse per la testa.
Ad ogni modo fu piuttosto inebriante. Non c'era, né ci sarebbe mai stato, il mistero che c'è stato fra me
e te. Non provai la sensazione che provai con te, e cioè che la nostra fosse una grande storia d'amore, di
quelle che vengono una sola volta nella vita. Non fu meraviglioso come con te.
Ma lui mi piaceva, davvero mi piaceva. Poi, dopo poco più di un'ora, accadde qualcosa che fece
pendere l'ago della bilancia a suo favore.
Marty era stato alla proiezione di Colpo grosso.
E io non me lo sarei aspettata. Voglio dire che questa gente di Hollywood non ha bisogno di vedere un
film per distruggerlo. Che per fare i film si compra i diritti di libri senza averli neanche letti.
Ma Marty era andato a vedere Colpo grosso e, quando ci mettemmo a parlarne, mi disse alcune cose
sorprendenti. Disse che Susan aveva coraggio e intuito. Era dannatamente professionale. E la mia parte
era davvero dinamite. Avevo rubato il film a Sandy. Nessun'attrice consumata avrebbe lasciato che
questo accadesse. Ma ciò che c'era di sbagliato nel film era che io sembrassi più americana di chiunque
altro. Avevo il naso all'insù di G.G., la bocca piccola e così via.
«Così questa tipa se ne va sull'isola greca e incontra una ragazza bon bon del liceo?», mi chiese. Non
funzionava. Gli spacciatori texani, loro sì erano straordinari, e la sceneggia-tura di prima classe. Ma l'isola
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greca e il mio aspetto? Era un film straniero finto. Non funzionava.
Be', non so neppure oggi se questo sia vero o no. Ma mi sorprese che lui fosse capace di osservazioni
del genere. E ancora più sorprendente fu che lui si fosse persino preso la briga di pensarci, al film.
Ribadì che in ogni modo era meglio per Susan che non fosse distribuito come il suo primo film. E fu qui
che colsi l'occasione e dissi: «Va be', quali proposte hai intenzione di farle, in America?».
«Non ti posso promettere nulla di clamoroso», disse. «Ma farò del mio meglio», allora mi prese la mano
e me la strinse. «Ora questo è quanto, sia che te ne vai o che rimani», disse. «Ti posso baciare?».
«Sì», dissi. «È quasi ora».
Fare l'amore con lui fu straordinario. Erano colpi da camionista ma colpi da grande camionista,
probabilmente il meglio che ci sia mai stato. Perché ti dico questo? Perché tu devi sapere tutto, per
capire quello che accadde. Devi sapere che nonostante quest'uomo non avesse la tua abilità e la tua
capacità di sincronizzarti con me, in fondo mi piacque molto. E, naturalmente, fino ad allora ero stata a
letto solo con ragazzi. Non sapevo cosa fosse l'armonia dei corpi.
Il nostro incontro segnò la fine del mio amore per Marty. Davvero. Incontrandoti, ho capito subito che
eri l'uomo dei miei sogni: sei serio come le persone che conosce-vo ai vecchi tempi, quando mamma
faceva ancora qualche buon film, e io mi addormentavo sul tavolo ascoltando conversazioni sulla vita e
sull'arte. Tu sei elegante e raffina-to e sei bellissimo nel tuo modo trasandato e naturale. E naturalmente
c'è stato tra noi anche il sincronismo, l'armo-nia, quelle volte a letto che ci toccavamo, e tu eri più
sensuale di qualsiasi altro uomo con cui io sia stata.
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